Giustizia Quotidiana

Felicia Genovese, ex pm antimafia di Potenza è innocente. Demolite le accuse dell’inchiesta De Magistris

De Magistris

Rischia di passare nel silenzio il clamoroso caso di malagiustizia di cui è stata vittima il magistrato Felicia Genovese. E allora proviamo a capire di cosa si tratta. Non c’è «nessun comitato trasversale politico-affaristico». Cade il castello d’ accuse per i vertici della magistratura lucana indagati dall’ ex pm Luigi de Magistris, oggi parlamentare europeo di Idv. Il gup di Catanzaro Maria Rosaria Di Girolamo, accogliendo la richiesta del sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro Vincenzo Capomolla, ha archiviato la posizione di 30 persone indagate nell’ inchiesta Toghe Lucane. L’ archiviazione riguarda Vincenzo Tufano, procuratore generale di Potenza, Giuseppe Chieco, procuratore della Repubblica di Matera, Iside Granese, ex presidente del tribunale di Matera, Felicia Genovese, ex pm della Dda di Potenza, oggi giudice a Roma, e Rosa Bia, giudice a Matera. Archiviazione per il governatore della Basilicata Vito De Filippo, per l’ ex presidente della Regione ed ex sottosegretario allo Sviluppo economico Filippo Bubbico e per Emilio Nicola Buccico, ex componente del Csm. Quindi per Pietro Gentili, ex colonnello dei carabinieri, e Michele Cannizzaro, ex direttore generale dell’ azienda ospedaliera San Carlo di Potenza, marito del giudice Felicia Genovese. Tutti accusati di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari. «L’ archiviazione dovrebbe causare sentimenti di vergogna per i magistrati che la svolsero, ma soprattutto per i giornalisti che pubblicarono articoli pieni di fatti non veritieri. La vicenda non finisce qui», commenta Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del pdl. Nessuna dichiarazione, invece, da parte dell’ ex pm Luigi de Magistris, titolare dell’ inchiesta. «È ora che gli organi preposti svolgano accertamenti per comprendere ciò che è accaduto negli ultimi cinque anni tra Catanzaro, Potenza e Salerno», l’avvocato della pm Felicia Genovese. Del caso la stampa si è occupata poco. A voce alta ricorre alle informazioni rese in forma completa ed esaustiva dal Corriere della Sera che, proprio oggi, pubblica in merito un secondo articolo a firma della collega Anna Maria Calabrò. Ecco quanto rende noto il Corriere.
Chiacchiere di città di provincia, «voci comuni», «coincidenze», come quelle che piacevano alla regina del giallo, la scrittrice di romanzi Agatha Christie. Non certamente prove di reato, ma nemmeno, in partenza, «notitiae criminis», notizie di reato, che è il requisito minimo da cui pure tutte le indagini giudiziarie dovrebbero iniziare. Insomma, un’ inchiesta, quella denominata «Toghe lucane» (istruita dall’ allora pubblico ministero Luigi de Magistris, oggi parlamentare europeo del partito di Antonio Di Pietro), radicalmente minata fin dall’ inizio, fondata sulle sabbie mobili dei «si dice» e dei «pare che». Tanto che ha totalizzato trenta proscioglimenti su trenta, per 24 capi di imputazione gravissimi, come la corruzione in atti giudiziari e l’ associazione a delinquere. Al giudice per l’ udienza preliminare di Catanzaro Maria Rosaria Di Girolamo, non è rimasto altro da fare che prosciogliere tutti gli indagati, su parere conforme del rappresentante della pubblica accusa, il sostituto procuratore della Repubblica di Catanzaro Vincenzo Capomolla. Se la notizia nuda e cruda è della scorsa settimana, quello che non era noto finora sono le motivazioni della decisione. La parola che più ricorre al termine dell’ esame dei capi d’ accusa dalla A alla Z è molto significativa: «insussistenza» dei reati contestati, anzi «mancanza degli estremi di reato». Per il vocabolario italiano (Sabatini-Coletti) «insussistente» è qualcosa che è «inesistente, falso, infondato». Ma queste accuse «inesistenti» in realtà sono esistite, eccome. Qualche cifra: quattro anni di indagini giudiziarie andate totalmente a vuoto, migliaia di pagine di atti, intercettazioni, sequestri e dissequestri di attività economiche, vertici giudiziari decapitati, carriere interrotte, magistrati e ufficiali delle forze di polizia trasferiti. Coinvolgimento di alti dirigenti dello Stato come Elisabetta Spitz, allora direttore dell’ Agenzia del Demanio, l’ ente che amministra la quota più consistente delle proprietà immobiliari statali (anche lei adesso totalmente prosciolta). Esemplare il caso dell’ ex pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Potenza Felicia Genovese e del di lei marito Michele Cannizzaro, anche lui ex direttore generale dell’ azienda ospedaliera San Carlo di Potenza. «Ex», perché la dottoressa Genovese ha subito un procedimento disciplinare cautelare da parte del Consiglio superiore della magistratura a seguito del quale, 4 anni fa, il 30 aprile 2007, nel momento in cui conduceva delicate indagini contro la criminalità organizzata e con grave pregiudizio per la sua carriera, è stata trasferita ed immessa nel ruolo di giudice del Tribunale di Roma. Nella sentenza che valutava unicamente il profilo cautelare, peraltro relativo al solo reato di abuso di atti di ufficio, il Csm giustificava la scelta del trasferimento anche alla luce della diffusione mediatica che, su scala nazionale, avevano ricevuto le notizie relative all’ indagine di Catanzaro. Una sorte simile ha subìto suo marito, che il 14 maggio 2007 ha rassegnato le dimissioni da direttore dell’ ospedale San Carlo, benché fosse sempre risultato, per gli obbiettivi raggiunti, primo tra i direttori generali della Basilicata. Cannizzaro aveva spiegato che «la gogna mediatica cui era stato sottoposto gli imponeva tale scelta». Il clamore di un’ inchiesta ha travolto la vita dei coniugi Genovese-Cannizzaro e della loro famiglia, incidendo gravemente sulle rispettive carriere, sulla loro immagine, oltre che sulla vita di relazione di entrambi, costringendo la prima a trasferirsi nella Capitale ed il secondo a dedicarsi alla sola attività di libero professionista. Ma scrive il giudice dell’ udienza preliminare – nella sua ordinanza di archiviazione delle accuse contro la giudice per il reato di corruzione in atti giudiziari finalizzata a favorire il marito – «quelli messi insieme contro di lei non solo non possono in alcun modo dimostrare la sussistenza dell’ elemento psicologico del reato, ma si tratta di elementi labili ed inidonei per una verifica in ordine all’ asservimento della funzione giudiziaria a fini personali». Soprattutto alla luce dei principi stabiliti dalla Cassazione (già prima dell’ inizio dell’ inchiesta) e «vista la regolarità dell’ iter del procedimento da parte della dottoressa Genovese».

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