Politica

I teodem dalla padella alla brace

Dopo l’addio di Paola Binetti al Pd a causa della sua «deriva zapaterista», è chiaro quali siano i cattolici che ancora hanno diritto di cittadinanza all’interno del partito guidato da Bersani: i cari, vecchi e affidabili «cattolici democratici». Quelli che, desiderosi di dimostrare il loro non essere supini di fronte al magistero di Santa Romana Chiesa, si allineano senza difficoltà alle posizioni laiciste della sinistra sui temi sociali e soprattutto bioetici.
Sono i cattolici alla Dario Franceschini, che nel 2007, da capogruppo della Margherita alla Camera, scrisse una lettera ai vescovi per annunciare che sessanta parlamentari cattolici del centrosinistra non avrebbero seguito le indicazioni della CEI sulla questione del riconoscimento giuridico delle coppie di fatto. Sono i cattolici alla Rosy Bindi, che da ministro della Famiglia (sic!) del secondo governo Prodi si fece promotrice, sempre in tema di coppie di fatto, del famigerato disegno di legge denominato «DICO», poi decaduto per l’aut-aut di Clemente Mastella ma che, se approvato, avrebbe concesso alle unioni di fatto, anche omosessuali, i medesimi diritti – senza una previsione dei corrispettivi doveri – previsti per coloro che contraggono matrimonio. Sono, ancora, i cattolici alla Romano Prodi, che ai tempi del referendum sulla procreazione assistita (2005), a chi gli chiedeva se avrebbe osservato la linea astensionista promossa dall’allora presidente della Conferenza Episcopale, cardinale Camillo Ruini, rispose che lui era un «cattolico adulto» e che, come tale, sarebbe andato responsabilmente a votare – lasciando così intendere che coloro che fossero rimasti fedeli alle indicazioni della Chiesa avrebbero dovuto essere definiti «cattolici immaturi» o, per usare l’espressione coniata da Francesco Cossiga, «cattolici infanti».
Sono dunque questi – i Franceschini, le Bindi, i Prodi – i cattolici che possono ancora trovare spazio nel Pd. Tutti gli altri, cioè coloro che non vogliono abdicare alla mentalità radicale e laicista che ormai domina all’interno del centrosinistra, sono condannati alla totale minorità politica e culturale, trattati alla stregua di appestati da evitare ad ogni costo e messi alla gogna come servi del Vaticano o cose simili. E’ quindi inevitabile che essi decidano, ad un certo punto, di levare il disturbo. Cercando di mettersi in proprio (come ha fatto Francesco Rutelli) o di accasarsi altrove (come hanno fatto Renzo Lusetti, Dorina Bianchi, Enzo Carra e oggi Paola Binetti, tutti passati all’Unione di Centro).
Ma se, da un lato, è certo che oggi esiste una «questione cattolica» grande come una montagna nel Pd, cioè in un partito che aveva fatto del connubio tra cattolici di sinistra e postcomunisti la sua stessa ragion d’essere, e se è altrettanto evidente che Pier Luigi Bersani non sembra in grado di dare una risposta credibile a tale questione, dall’altro lato occorre interrogarsi circa le reali prospettive aperte dall’approdo di gran parte dei suddetti «teodem» nell’Udc di Casini. Un primo elemento su cui riflettere lo fornisce il quotidiano della CEI, Avvenire, con un editoriale di Sergio Soave pubblicato martedì, nel quale si afferma che «c’è chi pensa che in questo modo si realizzi un progetto strategico attribuito a Bersani, quello di lasciare fuori dal partito i settori moderati e cattolici, per poi recuperarli “dall’esterno” con un’alleanza organica con l’Udc. Però – osserva giustamente Soave – è proprio sul terreno delle alleanze che si sono determinate le condizioni per l’abbandono di Binetti e di altri».
Ma occorre andare oltre e chiedersi, proprio in forza dei rilievi fatti propri dal giornale dei vescovi, se l’adesione dei «teodem» all’Unione di Centro non costituisca, nelle presenti circostanze, il classico caso di passaggio «dalla padella alla brace». Prendiamo ancora ad esempio la vicenda di Paola Binetti, la quale ha dichiarato che la goccia che ha fatto traboccare il vaso e l’ha spinta ad abbandonare il Pd è stata la scelta di Bersani di sostenere la radicale Bonino nella corsa per la presidenza alla Regione Lazio. Se le cose stanno davvero così, allora potremmo domandare alla Binetti che cosa ne pensi della decisione dell’Udc di allearsi in Piemonte con un’altra radicale senza se e senza ma, Mercedes Bresso, protagonista anch’ella di battaglie campali contro le posizioni espresse dai «teodem» (si veda, su tutte, la vicenda di Eluana Englaro). Non si capisce perché la presenza dei radicali venga usata a Roma come motivo per far le valigie ed andarsene dal Pd e invece a Torino venga tollerata in quanto scelta dal nuovo partito. Peraltro, sul «caso Piemonte» e sulla scelta di Casini di appoggiare la Bresso era stato lo stesso Avvenire ad usare qualche giorno fa parole molto dure, definendo tale scelta, sempre attraverso la penna di Sergio Soave, «contraddittoria» e ispirata da un mero «utilitarismo elettorale». Urgono chiarimenti.
Infine, è lecito nutrire più di un dubbio sul fatto che l’adesione all’Unione di Centro rappresenti oggi il modo migliore, per i «teodem», per difendere e tutelare i principi e i valori enunciati dalla dottrina sociale e morale della Chiesa. Innanzitutto perché, nell’attuale quadro bipolare, la «ridotta cattolica» centrista dell’Udc si trova, con il suo 6%, in una posizione fortemente minoritaria – cosa che espone il partito di Casini al rischio dell’ininfluenza. E poi perché, dopo la copiosa migrazione di suoi esponenti verso il Pdl nel 2008, l’Unione di Centro ha cambiato volto sul territorio, affidandosi in molti casi non a fantomatici campioni del cattolicesimo identitario e papalino, bensì a signori delle tessere locali, talvolta provenienti dalla Margherita, e interessati più al gioco delle poltrone che alla definizione di quella politica dei valori sbandierata a parole da Pier Ferdinando Casini. Considerato tutto ciò, riesce difficile immaginare che i sogni di gloria cattolica che hanno spinto parlamentari del Pd come la Binetti ad accasarsi nell’Udc si trasformino in realtà. Anche perché è già apparso chiaro che chi vuole portare avanti concretamente la buona battaglia della difesa della vita e della famiglia trova molto più spazio politico e possibilità di azione concreta nel Popolo della Libertà (Ragionpolitica).

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