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Se @angealfa fosse un po’ più Angelino Alfano

angealfa
Scritto da vocealta

angealfaChi lo conosce sa che non rifugge il dibattito. Che è capace di replicare ad accusa e insinuazione. È il tipo che difende la porta, guadagna l’altra metà del campo e tenta anche il tiro in rete.

Così Angelino Alfano appare, almeno, nelle occasioni pubbliche, in tv e anche nelle interviste rilasciate alla carta stampata. Su Twitter, però, quando si “trasforma” in @angealfa, le cose sembrano cambiare.

Di seguito, ripubblichiamo – da Front Page – la testimonianza di un’acuta e sferzante giornalista, Simona Bonfante, che da @angealfa è stata “bloccata”: non potrà quindi più “seguirlo”, né tantomeno commentarlo o citarlo sul frequentatissimo social network. Un breve articolo che riesce a spiegare bene lo spirito di Twitter, medium impegnativo che non si può gestire con la mano sinistra. Uno spirito, insomma, che forse i twittatori che cinguettano con Angealfa non hanno ancora ben compreso. Preferiamo credere, però, che il blocco della Kuliscioff (questo il nickname di Bonfante) sia stato frutto di un errore di interpretazione, di un “misunderstanding” come direbbero gli inglesi, oppure – perché no? – di un click di troppo.

Presto ci sarà un po’ più Angelino in Angealfa, potremo così non solo menzionarlo senza timore alcuno ma anche leggere qualcosa di più avvincente di un “Buongiorno” o di una “domenica in famiglia”. Felice twitting a tutti!

 

Perché Alfano mi ha cassato da Twitter?

Angelino Alfano mi ha bloccato la possibilità di seguirlo su Twitter, un caso – credo – raro. A me, almeno, non era mai capitato prima. Non posso più né seguirlo né menzionarlo. Eppure non ho mai fatto il troll, non ho mai spammato. L’ho solo menzionato, occasionalmente, nei twits – critici, ironici, interrogativi – che non ho mai neppure immaginato potessero rappresentare un problema per il dialetticamente abilissimo segretario politico del Pdl.

È successo alcuni giorni fa ma non me sono ancora fatta una ragione. Comunicato l’evento ai miei follower – era il minimo –, tra le ipotesi che mi sono state suggerite quella di Stefano Menichini, il direttore di Europa, mi è parsa la più realistica: è stata la moglie gelosa – mi ha twittato.

Twitter non è un Facebook corto, è un medium a sé. Non è un social invasivo, arrogante. È un canale comunicativamente maturo, che si auto-regola da sé. Non si inculano i twit postati dai following, ma si citano. Non si postano oggetti mediatici sconosciuti sui profili altrui, ma si menzionano i profili che, dei propri twit, possono fare buon uso. Twittare a loro volta, ad esempio, così virando la menzione (azione passiva) in atto comunicativamente produttivo.

Twitter, sostanzialmente, è un libero generatore di sarcasmo. Le pippe celebrative, lì, non tirano. I link e basta non tirano. Le cose tipo ‘ho pubblicato un nuovo post’ – il testo-tipo della Serracchiani – beh, non tirano neanche quelle. Non tirano gli insulti, le banalità, le frasi fatte, i luoghi comuni, le sincopi giornalistiche. Su Twitter funziona la sintesi semanticamente efficace: la cosa fica, ironica, intelligente e concentrata (140 caratteri e stop). E gli hashtag, le parole chiave precedute dal simbolo # che diventano trend se se lo meritano, cioè se contagiano, incuriosiscono, istigano il twitting. Twitter è una delle rarissime dimensioni meritocratiche con cui noi italiani abbiamo l’opportunità di confrontarci. I politici 2.0 – tipo Alfano, appunto – dovrebbero farne una training room.

Vabbé, non gli sarà piaciuto il mio genere. Ora però, il mio dubbio è: ma visto che m’ha cassato dai follower, vuol dire che non posso neppure votarlo alle primarie?

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