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L’Italia di mezzo

Da una parte i professionisti dell’anti casta, dall’altra quelli del Palazzo. In mezzo l’Italia vera. Quella che lavora, che vive il suo privato e la sua normalità: il padre e la madre che mandano avanti la famiglia, i figli che studiano e sperano, un giorno, di realizzare i loro sogni. Uomini e donne che fanno i conti con la quotidianità, con i suoi ostacoli e le sue ingiustizie, i suoi desideri e i suoi miraggi. Partiamo dalla prima categoria, da coloro che (a gettone) puntano a demolire il potere e il sistema. Occupano le piazze, avvelenano il web, soffiano senza sprecare un filo di fiato sul pericoloso fuoco della demagogia e del populismo. Ignari delle possibile conseguenze, dello spirito totalitario e antidemocratico di quegli usi e costumi che deprimono la libertà invece di tutelarla. Cattivi maestri che offuscano le coscienze, impoveriscono la ragione e cavalcano l’onda di rabbia e rancore. Troppo bravi a distruggere, incapaci di costruire. Di raccogliere le reali esigenze della società perché faziosi e di parte, parziali fino al midollo.

Sul fronte opposto, ci sono i professionisti del “governo tecnico” e del compromesso. Quelli che il Palazzo prima di tutto e sopra tutto. Barricati nelle loro stanze dorate, insensibili ai cambiamenti del tempo e alla richieste di una società ormai dinamica e in movimento. L’apparenza istituzionale oscura il resto, la forma supera sempre la sostanza. La politica è un’arte, non solo una professione, fine a se stessa. L’autoreferenzialità è la loro malattia, i poteri forti il loro inossidabile punto di riferimento.

Per questo motivo occorre tornare a percorrere la terza via: quella più semplice, quella più naturale. Che porta al tanto bistrattato italiano medio. Ovvero colui che la domenica preferisce andare al mare e godersi in santa pace il giorno di meritato riposo invece di pensare a come guastare le feste dei matrimoni altrui. Che dalla politica pretende solo risultati concreti e se ne infischia dei retroscena dei giornaloni, dei complotti, dei partiti che crescono, muoiono, risorgono, si fondono oppure diventano corrente. Se ne infischia della morale a pagamento e dei processi mediatici. Perché i valori, per fortuna, sono ancora una cosa seria.

Va, nonostante tutto, a votare. Spera di pagare meno tasse, di ricevere dallo Stato sevizi decenti, di sentirsi davvero libero e realizzato.

Non urla, non protesta, non si appassiona alle inchieste scottanti del giornalismo radical chic. Sopravvive a fatica tra questi due fuochi: l’estremismo incendiario da una parte, il parassitismo delle oligarchie dall’altro.

La politica torni una volta per tutte a vestire i panni del pompiere. Per salvarsi da se stessa e per non lasciare questo splendido Paese in balia del solito piromane.

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